Una presa d’atto e una ricerca di sintesi
- giuseppe de feo
- 23 giu 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 30 giu 2020

Bill Viola, The raft, 2004
Sin dall'inizio di questa pandemia, ci siamo posti domande pressanti sul mondo che sarebbe venuto dopo, come scrivevo in un post qualche settimana fa. Ho tentato di coinvolgere manager consapevoli della complessità delle sfide che ci sono davanti e ne ho sin qui derivato alcune prime riflessioni.
Ma se si vogliono trarre alcune conclusioni dal dibattito intenso che si è sviluppato a livello internazionale tra gli intellettuali di tante e diverse matrici, possiamo dire che:
a) Nessun cambiamento epocale sarà realizzato. La storia ci insegna che alla conclusione di ogni evento traumatico, l’umanità ha reagito con una intensa e breve euforia “celebrativa”, per poi rientrare nelle più consolidate routine.[1]
b) Il concetto di “immunità” sta diventando pervasivo nella vita quotidiana e nella dialettica politica, sociale ed economica, si sta installando nei sistemi di valori, con alcuni suoi aspetti inquietanti per la natura relazionale delle attività umane.[2]
c) Dobbiamo allenarci e impegnarci per pensare l’impensabile. Il mondo è cambiato, continua a cambiare e dobbiamo essere creativi e aperti nella ricerca di soluzioni nuove che coniughino tutte le risposte tecnologiche e sociali a disposizione.[3]
Queste diverse posizioni, tra loro anche confliggenti, sono per me ora le basi per una discussione pragmatica che vuole proporre - ai manager e a coloro che ruotano intorno al mondo delle imprese – alcuni spunti operativi per indicare possibili percorsi da condividere.
Meglio, la modesta operazione che voglio tentare è semplicemente quella di provare a far derivare qualche indicazione dagli stimoli posti da questi intellettuali, tra l’altro così diversi tra loro. La mia personale sensazione è quella di dover superare una ottimistica illusione à la Candide, per provare a distillare qualche opinione con finalità euristiche. Bisogna prendere atto della complessità dei sistemi nei quali operiamo e di tutti i classici fenomeni di resistenza e di isteresi rispetto alle innovazioni sociali ed economiche. A queste si sommano le opposizioni e le difficoltà che derivano dalla natura umana, che rendono gli effettivi impegni trasformativi spesso quasi illusori. Dopo settimane di lockdown e poi di nuvole nere sull'economia e rombi preoccupanti sul panorama sociale, siamo testimoni di una confusione e contrapposizione tra punti di vista (che talora sconta anche un disperato bisogno di presenzialismo narcisista, per affrontare l’angoscia da ignoto).
Da molte parti si sente l’affermazione apodittica della fine del neo-liberismo. L’economia mondiale non sarà più la stessa, enfaticamente si dichiara; con altrettanta passione, molti ritengono che questa epidemia sia la pietra tombale della globalizzazione. Dobbiamo dire piuttosto, e sottolineare “purtroppo”, che al massimo ci si potrà aspettare una parziale revisione delle politiche di delocalizzazione della produzione. Probabilmente assisteremo a un aumento di peso nell'economia da parte dello Stato, ma non ci sarà alcuna "rivoluzione" socialdemocratica. Come sottilmente afferma il politologo Mounk, pur se non si possono escludere trasformazioni realmente storiche, non possiamo essere in grado di sapere quali saranno e quale sarà la loro precisa direzione. Per concludere che probabilmente “il mondo in cui vivremo sarà diverso, ma non irriconoscibile”.
Un altro grande campo tematico, da tenere in attenta considerazione, è quello indicato da diversi filosofi a partire dall'affiancamento dei termini “immunità – comunità”. Si pone alla nostra riflessione la comune radice etimologica tra i due termini, contrapposti dal loro prefisso: sempre più le nostre democrazie occidentali si connotano in senso immunitario, fornendo diritti che privilegiano i cittadini, senza che si chieda loro una partecipazione comunitaria alle questioni pubbliche. Le attuali configurazioni, diversamente dall'archetipo ateniese, non richiedono coinvolgimento e partecipazione responsabili, per la creazione di un senso di comunità. Oggi tendiamo semplicemente a escludere i non-garantiti, gli estranei al nostro gruppo, gli “invisibili” e i “migranti”. E questo è un tema drammatico con il quale la stessa pandemia ci ha costretto a fare i conti, e che dovremo considerare nel panorama politico dei prossimi tempi.
Da una parte, dunque, voglio porre l’indicazione per la necessità di un superamento del neo-liberismo, pur non chiaro e luminoso nelle sue modalità di realizzazione; dall'altra i rischi di una società sempre più immunitaria ed escludente, incapace di costruire sulla base di una cultura comunitaria. Questa costellazione di tensioni realizza una enorme sfida sociale e politica. Credo che possa essere utile adoperare a questo punto le suggestioni immaginifiche tipiche di un intellettuale come Alessandro Baricco. Siamo in una situazione di buio, di mancanza di visione, e non sappiamo se percepirci in un pozzo o in un tunnel, entrambi ovviamente neri. Come se ne esce allorché non hai alcune tangibile coordinata spaziale? Devi saper pensare l’impensabile, è la provocazione di Baricco. Chi non è abituato a governare e vivere cambiamenti nelle proprie modalità operative e di pensiero, continuerà ad attendere, illudendosi che il tempo passi e le cose cambino magicamente; o aspetterà regole imposte, come abbiamo dovuto fare nella prima fase di contrasto alla pandemia, con le “zone rosse” e il lockdown generalizzato. Mentre è evidente che servano più agilità, adattabilità e impermanenza. Sicuramente, sarà necessario uno sguardo diverso sulla realtà, più arricchito - dice Baricco - e un aiuto determinante potrà arrivarci dai filosofi e dagli antropologi, da tutti i cultori di quelle discipline che la realtà sanno guardarla da ogni punto di vista. Si è notato come, utilmente, nel dibattito sociale e politico di questi ultimi mesi abbiano preso un discreto ruolo proprio questo tipo di personalità intellettuali.
Alla luce di tutte le precedenti argomentazioni, dispiace dover ammettere la difficoltà di un’uscita nel breve periodo da soluzioni economiche ispirate dal c.d. neoliberismo. Prendere decisioni e intraprendere azioni di smantellamento dei sistemi predatori e di salvaguardia dell’ambiente costa troppo nell'immediato e da frutti solo nel medio-lungo periodo. La logica del breve termine vince sempre per i decisori politici, è la dannazione che gli anglosassoni chiamano short-termism, che ha prodotto i disastri che abbiamo dinanzi e che – con forte probabilità – continuerà ad influenzare pesantemente la presa di decisioni a livello dei Paesi e degli Organismi Internazionali.
E dunque, quale percorso risolutivo possiamo ipotizzare per le nostre realtà sociali, un percorso che vada al di là delle soluzioni operative pragmatiche orientate alle questioni del quotidiano?
Forse è ora, semplicemente, di seguire il consiglio fornitoci da una studiosa della Harvard Business School[4], la quale – non ultima, ma sulla base di approfondite ricerche sul campo – ha evidenziato quanto le nostre aziende siano conformiste, e costringano le persone ad aderire a modelli di azione, e di pensiero, che le rendano conformi alle regole dell’ambiente circostante, distruggendo sul nascere ogni possibilità di innovazione. Non è di questi comportamenti che abbiamo e, ancor di più, avremo bisogno per affrontare il futuro (post-)pandemico. Piuttosto dovremo lasciare le persone nelle aziende capaci di ribellarsi alle regole, di inventare nuove modalità di relazionarsi e di produrre, per far sviluppare quel potenziale creativo sempre più necessario nella società contemporanea. È solo l’attivazione della rule-changing creativity che potrà dare un contributo di creatività utile e necessaria ai sistemi aziendali. I leader dovranno perciò essere in grado di far cercare ai collaboratori le novità, stimolando il dissenso costruttivo e facilitando la divergenza dei comportamenti. Saranno i leader nelle nostre organizzazioni all'altezza di questa sfida?
[1] Y. Mounk, Anche dopo il virus il nostro mondo continuerà a girare, la Repubblica, Martedì 26 maggio 2020 [2] R. Esposito, Immunitas, Einaudi 2020; D. Di Cesare, M. Bonazzi, G. Remuzzi, Il pensiero dell’immunità opposto alla comunità, La Lettura - Corriere della Sera, 16 febbraio 2020 D. Di Cesare, Virus sovrano?, la Repubblica-L’Espresso 2020 [3] A. Baricco, Ora pensate l’impensabile, la Repubblica, Mercoledì 20 maggio 2020 [4] F. Gino, Talento ribelle, EGEA 2019. Sul tema del conformismo aziendale, v. anche: M. Alvesson & A. Spicer, The stupidity paradox, Profile Books 2016
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