Dal 1909 ai primi anni ’20 del secolo scorso, attraverso una Guerra Mondiale e una pandemia di proporzioni sconvolgenti, Piet Mondrian, con alcuni coraggiosi e appassionati colleghi avviò una radicale mutazione dell’arte contemporanea e del pensiero sull'arte. Gli artisti di De Stijl, con il duro lavoro e la coerenza di riflessione e applicazione, stabilirono i nuovi territori dell’arte moderna come astrazione. A prescindere dal giudizio estetico soggettivo, si può senz'altro dire che un periodo drammatico della storia dell’uomo risultò anche nella capacità di definire un nuovo grande progetto di cambiamento, aprendo nuove frontiere e possibilità all'espressione umana e alla ricerca di senso[1].
Possiamo oggi fare altrettanto, in un tempo molto più abbreviato a causa delle minacce che ci sono davanti e in funzione della natura del sistema tecnologico, sociale ed economico contemporaneo.
L’attuale situazione di lockdown, l’incertezza sul futuro, l’invisibilità del nemico, tutto ciò contiene in sé, evidentemente, qualcosa di distopico e di surreale, per la comune esperienza di noi cittadini del XXI secolo. Qualcosa che ci spiazza profondamente e ci pone delle domande molto pressanti, profonde e personali.
Sin qui siamo stati presi dal fare, concentrati sui prodotti e sui risultati, che spesso non erano definiti da noi, ma imposti da un sistema più grande, che pare(va) dominare la contemporaneità. Eravamo presi a correre, a inseguire risultati determinati dalla Tecnica, come entità sovraordinata e dominante la vita dell’umanità contemporanea. Ci comportavamo secondo routine e automatismi quasi inconsapevoli, dettati appunto dal Sistema Tecnico (che contiene economia, produzione e politica), all'interno di schemi e modelli sempre indiscussi: per essere più espliciti, non abbiamo mai saputo mettere in evidenza le tensioni drammatiche tra progresso e sviluppo, e dunque ci troviamo in una crisi ambientale di proporzioni inaudite nella storia dell’umanità. Lo sviluppo orientato alle finalità della Tecnica, come aumento continuo delle capacità di produzione e consumo, contrasta con la natura di un progresso che crea una crescita compatibile con il benessere dell’uomo e rispettosa degli ambiti della Natura della quale siamo una piccola parte.
Potremmo finalmente passare dal fare cieco e inconsapevole, da “funzionari della Tecnica”, ad un agire progettuale e creativo, guidato e determinato da noi in quanto “soggetti”. Ciò di cui abbiamo bisogno, e la dura lezione che ci insegna il virus, è affrontare, in una prospettiva di azione concreta e non di sola enunciazione teorica, i dilemmi e le tensioni di cui sono portatrici sin qui le nostre ideologie. Vogliamo costruire un sistema di pensiero che superi un fare dominato dal mercato e ci traghetti effettivamente verso un agire orientato dai valori? Vogliamo passare da un fare ossessivamente orientato a un futuroillusorio e isterico a un agire che sappia pazientemente includere la dimensione di un presentepiù intenso e vero? Un presente da poter apprezzare in armonia con l’“ambiente” che, oltre alla natura che ci circonda, è anche fatto della nostra dimensione umana, individuale e sociale. Come far crescere e diffondere un pensiero nuovo? Se in molti incominceremo ad elaborarlo, e fra questi molti ci saranno in modo significativo persone che, a vario titolo, hanno influenza sui nostri apparati sociali ed economici (imprenditori, manager, consulenti, intellettuali, giornalisti, decisori politici, amministratori pubblici) potremo sviluppare un insieme di nuovi comportamenti in grado di incidere sulla vita concreta della nostra società. Non sono solo le rivoluzioni a cambiare le società: allorché si riesce a praticare un nuovo modo di comportarsi quotidianamente nella sfera individuale e delle aggregazioni sociali di base, questi comportamenti individuali possono produrre il modellamento di una nuova cultura e il radicarsi di una nuova consapevolezza. Considerato che abbiamo tutti dimostrato di saper essere flessibili e solidali, adattando anche i nostri comportamenti quotidiani alle esigenze del distanziamento sociale e delle diverse quarantene, perché non scommettere sulla capacità di adottare nuovi comportamenti che facciano evolvere la società verso modelli olocratici? Modelli innovativi che ci valorizzino come eco-sistemi? Naturalmente, questi “nuovi comportamenti” dovranno essere guidati dalla capacità di dominare precisi schemi ideologici e operativi, modelli culturali innovativi che orientino l’azione verso obiettivi positivi, etici ed ecologici. Non ci sono manuali da proporre, poiché questi dicono piattamente alle persone ciò che devono fare. Penso piuttosto a “schemi” o “linee guida” che orientino le persone verso una capacità d’agire soggettivizzata. Perché i manuali invocano piattamente la disciplina, gli “schemi” consentono la creatività. E le persone sono ormai in grado di concedersi spazi e creatività, dopo aver sperimentato le costrizioni provenienti dal virus e aver vissuto negli ultimi anni i limiti di una globalizzazione miope e forsennata. Dopo questa crisi mondiale si potrà attivare un nuovo risveglio sociale, che abbia uno dei suoi motori forti nel mondo delle organizzazioni, e lavorare a nuovi “software elastici” per la globalizzazione, meno influenzati da teoria neoliberiste e più sensibili ai temi strategici dell’ambiente e dell’etica. Sull'onda di queste riflessioni, mi stimola avviare un dialogo con alcuni rappresentanti di grandi organizzazioni, che possono fornire spunti dalle loro prospettive: attraverso uno spazio aperto di confronto potremo creare una possibilità di arricchimento per individuare soluzioni originali ed efficaci al cambiamento che ci è davanti. L’audacia delle proposte ci deve animare per rendere finalmente possibili imprese collettive ritenute, prima di questa traumatica crisi, impossibili. Oggi sono semplicemente inderogabili.[1] Molte altre correnti artistiche innovative, pur di grande portata, non superarono la crisi della Guerra Mondiale (il Cubismo, fra tutte).
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